Il 2020 è stato per la comunità monastica Angolana un anno molto speciale: ci ha portato via quelle che sono state le due colonne della vita del monastero: MADRE ANTONIA ZANAGLIO, per circa 10 anni superiora della comunità, e il DOTT. PAOLO LAVINO, che per 10 anni ha sostenuto la vita del nostro popolo con una generosità senza pari.
Era nata a Presegno di Lavenone (Brescia) nel 1939, in una famiglia numerosa, 7 tra fratelli e sorelle. Una volta sono andata a trovarla in infermeria e le ho chiesto della sua infanzia: mi raccontava con occhi brillanti della sua casa fra le montagne bresciane, con tanti fratelli, il padre che li adorava, mucche, maiali, tante caprette, una vita semplice…questo forse le ha lasciato una impronta nell’anima.
Entrò a Valserena nel 1973, affrontando da subito la nuova vita con serenità e decisione. Solare, positiva, leonessa: Antonia sapeva quello che voleva. Abbiamo sempre lavorato insieme. Ricordo la sua fortezza, anche fisica, ma soprattutto era una roccia di fede. La sosteneva questa sete profonda dell’incontro col Signore in tutte le cose, dalle più semplici alle più dure. In tutto emergeva una grande gratitudine e positività. Felice di essere monaca e monaca trappista di Valserena. Pregava e amava tanto la Madonna.
Abbiamo lavorato insieme dall’inizio sino alla sua partenza in Angola, nel 1981. Ai profumi, all’orto, in liturgia, con tanta semplicità e collaborazione, con tante risate e anche con momenti di prova e di difficoltà. Si vuotava anche la stalla con grande fatica, e lei con grandi risate.
É partita per l’Angola, all’inizio del 1981; quasi due anni dopo la professione solenne. Il suo sì a questa richiesta non si è fatto attendere, un sì che l’ha fatta rimanere in Angola 40 anni! Durante questo tempo, ha dovuto non solo vivere gli anni duri della guerra, ma anche non ha esitato ad esporsi al pericolo a rischio della sua vita per salvare la vita di altri.
Di poche parole, pratica, di buon senso, soprattutto molto coraggiosa, questa piccola donna ha condotto con fortezza una comunità africana al cuore della guerra, mantenendola unita e serena, nei binari di una osservanza monastica vissuta meglio che si poteva in quelle condizioni così particolari. Sin dagli inizi, la Trappa di Huambo era stata aperta ai poveri, il cancello sempre spalancato ad accogliere in cortile una folla affamata, un centro diurno per bambini piazzato nel terreno di fronte; una terra da coltivare fuori Huambo, che si raggiungeva in auto a rischio di saltare sulle mine. Certamente madre Antonia non si tirò indietro da questa impostazione, forse più generosa che prudente, che trovò al suo arrivo. Su di lei abbiamo alcuni racconti che parrebbero leggendari, se non fossero ampiamente testimoniati.
Una donna di grande fede, con molto amore al luogo e alle sorelle. Ha formato la seconda generazione della comunità, è stata veramente madre, non solo delle monache ma di tutti. Racconto un episodio solo, per tutti. Durante la guerra, quan-o la città era in mano dell’UNITA e quelli del governo erano ricercati, lei aveva fatto costruire un bunker nel nostro cortile e tante persone erano nascoste lì. La gente lo sapeva, qualcuno lo disse. I comandanti dell’UNITA arrivarono a chiedere di consegnarli. La Madre rispose: Se li volete, prima prendete me. Finché sono viva, qui non entra nessuno. Hanno rinunciato e se ne sono andati. Li ha tenuti nascosti 2 anni, fino a che il governo ha preso la città.
La presa di Huambo è avvenuta dopo una fortissima guerra, 50 giorni di bombardamenti continui. Alla presa della città da parte del governo, l’UNITA doveva fuggire in fretta e furia e prima di fuggire uccidevano tutti quelli che potevano. Questi disperati sono entrati anche nel nostro cortile. Noi chiuse in casa, i rifugiati nel bunker, loro in piedi sopra il bunker, cercando come ucciderli. Madre Antonia, dall’interno, è andata in chiesa e ha preso il secchiello dell’acqua benedetta con l’aspersorio. Poi dalla finestra, cercando di non farsi vedere, ha cominciato ad aspergerli, pregando. Pian piano li abbiamo visti calmarsi tutti! (…) Subito dopo siamo andate in chiesa e c’era il salmo: Se il Signore non fosse stato con noi, lo dica Israele, se il Signore non fosse stato con noi, ci avrebbero inghiottivi vivi! Tutte piangevamo.
Si dimenticava di sé per darsi agli altri. In guerra c’erano molti poveri, affamati, ammalati, si curava di tutti. Aveva molta tenerezza per una ragazzina epilettica che cadeva spesso nel fuoco ed era piena di piaghe, veniva scansata per questo. Quando lei passava in auto per uscire, anche se era ben preparata per un incontro importante, se la bimba chiamava lei faceva fermare l’auto, la abbracciava e baciava, la accarezzava, così piena di piaghe com’era. Questo colpiva molto la gente perché nessuno la voleva toccare, faceva molta impressione che una suora, in più bianca, facesse così con un nero. Questo parlava più di molte parole. Durante la guerra arrivò alla nostra casa un ragazzo colpito dai ribelli con numerosi proiettili. Stava morendo. Madre Antonia lo ha soccorso subito. Era uno studente di Luanda. Saputo che non era battezzato, madre Antonia ha chiamato pd. Benjamin, che gli ha dato il battesimo e tutti i sacramenti. Lo hanno confortato, il giorno dopo era morto. Questi aiuti erano pericolosissimi, potevano ucciderti per questo, ma lei ha aiutato moltissimi. Penso che quelli che sono morti poi sono stati angeli per lei, l’hanno aiutata.
Come sempre capita nei tempi eroici, si era sostenute da una abbondante effusione dei doni dello Spirito Santo. Non ho mai conosciuto tanta semplice gioia come nelle mie visite a Huambo: con un cartone di vino e qualche pannocchia abbrustolita correva più gioia che a una mensa regale. Chiaramente, la comunità doveva poi pagare un prezzo salato per tanto stress subito negli anni della guerra e lo paga a tutt’oggi. E quanto ha pagato la nostra Antonia! Colpita dal cancro, operata, subite tante chemio; diverse operazioni all’anca; e, come non bastasse, l’incidente! Non sono mai riuscita a riconciliarmi con il fatto che, scampata a mine e bombardamenti, abbia dovuto venire in Italia a schiantarsi contro il parapetto dell’autostrada, incontrando una bufera di neve all’uscita di una galleria, con tutte le conseguenze del caso.
Lasciato il posto di Priora, non pensò mai neanche un attimo di poter rimanere in Italia, ogni volta sospirando il giorno del rientro in Angola. Si trovavano ormai sulla montagna del Soke ma ancora nelle baracche provvisorie collegate fra di loro da stradine di sassi sconnessi. Fu così che, già claudicante, cadde malamente fracassandosi l’anca troppe volte operata, mettendo a rischio non diciamo la guarigione ma la sua stessa vita. Portarla nuovamente in Italia appariva impossibile. Ma non per la Provvidenza! Provvidenza infatti volle che in quel tempo ospitassimo da noi una monaca Camaldolese, abile a maneggiare il computer, dotata di insospettabili risorse. Mi disse che c’era una legge per la quale era possibile che lo Stato Italiano inviasse un aereo apposta per prelevarla e per portarla al Rizzoli di Bologna. A noi sembrava una follia – a qualche funzionario che si mise di mezzo anche – ma non alla responsabile provinciale della cosa e a suor Maria Teresa che, chiesto il permesso di agire, si chiuse nella sua cella tempestando messaggi due giorni e due notti e ottenne l’aereo: madre Antonia arrivò viva al Rizzoli, fu operata, ritornò sulle sue gambe!
Il ricordo più vivo che ho di lei è l’ultimo, il mese che ho passato l’anno scorso in Angola. Mi porto due tratti. Il primo: era felice, benché ormai in carrozzella, contenta della sua vocazione e completamente data. Amava la vita, l’Africa, l’Angola, la sua comunità e ogni persona. Colpivano gli occhi, sempre lucenti. Non mi sarei mai aspettata la morte dopo così poco tempo. Altro tratto: una persona appassionata. Un interesse, una curiosità quasi infantile manifestata ai corsi, uno stupore di ascolto che non finiva più. Passione e compassione per tutte le sofferenze altrui. Si vedeva nella preghiera personale frequente e nelle intenzioni di lodi e di vespro: portava e soffriva, con tutti.
Madre Manuela e Comunità