6 febbraio 2023, Siria: Dopo 12 anni di guerra… la distruzione del terremoto.

Pubblichiamo un articolo delle nostre sorelle pubblicato dal settimanale cattolico The Tablet del 23 febbraio 2023, in cui raccontano le storie di fede e di dolore della gente attorno a loro.

«Erano da poco passate le quattro del mattino. In un attimo, mentre lontano gli animali del villaggio si facevano sentire più del solito, tutto ha cominciato ad ondeggiare paurosamente, le pareti, le lampade. Senza respiro, abbiamo atteso che finisse. Grazie a Dio, apparentemente non avevamo avuto danni rilevanti: i quadri spostati, alcune cose cadute a terra, gli scaffali paurosamente inclinati, ma niente di grave. Più tardi, avremmo verificato meglio le strutture, e cercato di capire cosa fosse accaduto nei villaggi della nostra zona. Era stato un terremoto fortissimo, ed eravamo convinte che l’epicentro non potesse essere lontano. Abbiamo sentito un’altra scossa, più leggera, un quarto d’ora dopo. Ma prima della fine di Vigilie, sono arrivate le telefonate dei nostri amici di Aleppo. È stato allora che ci siamo rese conto che il vero terremoto aveva colpito il Nord della Siria. Lì il sisma era stato ancora più forte e devastante. Ad Aleppo erano tutti per strada, o nelle macchine, per ripararsi dal freddo e dalla pioggia. Ci chiamavano per assicurarsi che stessimo bene e per chiedere la nostra preghiera. Nelle ore seguenti, è stato tutto un susseguirsi di notizie, di nuovi allarmi, di comunicazioni con una o l’altra delle città colpite. I messaggi che arrivavano spezzavano il cuore. Maya ci ha scritto: “Qui è un disastro. Siamo tutti per strada. Pregate, per favore. Viene solo voglia di piangere”. Allo stesso tempo, è nata una solidarietà forte che continua in questi giorni, con la raccolta di alimenti e aiuti da parte di noi tutti, comunità, villaggi meno colpiti.

Come raccontarvi? Le immagini più forti le avete viste, avete visto la devastazione e lo strazio di Turchia e di Siria. Avete visto il dolore dei sopravvissuti di fronte alle macerie della loro vita, l’angoscia di chi cerca i parenti sotto i detriti. La gioia e le lacrime dei soccorritori liberando uomini, donne, bambini. Noi possiamo condividervi qualcosa di meno eclatante, piccole storie della nostra gente ancora una volta confrontata ad una situazione tragica, dopo 12 anni di guerra. Moltissimi hanno avuto danni nelle case, intere pareti crollate. Alcuni hanno visto morire i vicini: “George si è operato la mattina precedente alla scossa, non è riuscito ad alzarsi, a scappare. Fino a poche ore prima eravamo insieme, vivevamo accanto, e non abbiamo potuto fare nulla…”. Tanti non possono rientrare nelle loro case, non sanno se e quando sarà loro permesso. Sono stati accolti nelle parrocchie, nelle scuole, nelle moschee, nelle palestre. Molti, troppi, sono però senza riparo. Tantissime case, già indebolite dai bombardamenti della guerra, sono in condizioni precarie. “Siamo nelle mani di Dio”. È una frase che ripetono, con fede, sia cristiani che musulmani… Questa volta però si sente una nota profonda di sgomento.

Lo avvertiamo nelle voci, nei racconti di tanti amici: non rabbia, ma un senso di smarrimento doloroso, di grido muto del cuore. Paura, più che durante la guerra. Nelle bombe che cadevano, nei tiri delle mitragliatrici, era stato più facile dare un volto, un nome al Male. Ma ora?

Jan, un amico cristiano di Aleppo che si è rifugiato da noi con la famiglia, ci dice: “questo è un tempo per pregare molto. Chi è debole nella fede, forse la perderà del tutto. Ma speriamo che tutto questo almeno faccia riscoprire Dio, faccia ritrovare una fede profonda…”. Lui era sveglio, quella notte, ha chiamato la moglie e il figlio, in pigiama, così com’erano, hanno cercato di uscire di casa. Il vero momento di panico è stato quando, arrivati alla porta, la luce è andata via, e non riuscivano ad infilare la chiave per aprire… Ancora non riesce a dimenticare questa sensazione di essere in trappola… hanno passato la notte in macchina, come tanti. Con il rimorso nel cuore, vedendo altri che invece erano fuori, sotto la pioggia. Una macchina del resto salva per miracolo: il posto dove la lasciava sempre davanti a casa, è stato colpito dalle macerie. Lui la sera prima del terremoto, chissà perché, per una volta aveva deciso di spostarla più in là.

Sihem è una signora musulmana; ci aiuta al monastero per le pulizie e per altri lavori. Il suo villaggio non ha avuto danni, ma tutti sono usciti nelle strade ed hanno passato la notte all’aperto. Due giorni dopo il terremoto, in un momento di pausa, mi chiede: “Dio, esiste? La mia fede è forte. Ma non so cosa rispondere al mio vicino, che parla della gente sotto le macerie, e dice che non c’è Dio, che non c’è niente dopo la morte”. E così, con la scopa in mano, iniziamo a parlare del senso della vita, del mistero e della grazia del dolore. Della libertà dell’uomo. È una donna semplice e forte: vedova a 17 anni (il marito, poliziotto, è stato ucciso), con due figli, li ha fatti crescere da sola, li ha fatti studiare fino a laurearsi, li ha sposati… e ancora oggi lavora per loro, perché la vita è difficile e i nipoti sono tanti…

Emile è un altro amico di Aleppo, ci racconta: “Siamo subito corsi giù dalle scale…Poco dopo sono tornato dentro, almeno per prendere qualcosa di caldo per i bambini, che erano senza scarpe e in pigiama, qualche documento più importante, un po’ di soldi. È stato terribile, molto peggio della guerra. Abbiamo passato la notte in macchina, poi al mattino, alle 7,30, siamo andati a Messa…Lì finalmente per un po’ abbiamo potuto riposare il cuore. Non sappiamo se potremo rientrare in casa; io da qualche mese sono anche senza lavoro…”.

Storie piccole, fede e dolore grandi. Passato questo tempo di prima tragica emergenza, ciò che resterà sarà proprio la sfida quotidiana di una vita da rifondare e ricostruire, fermando l’emorragia dell’esodo.

San Benedetto ci ha lasciato gli strumenti per il nostro compito: “sperare per tutti”.